Mentre preparo una moka nella redazione di Yes,Mia, Alessandro ed io iniziano la nostra intervista; ve lo presento, anche se non ha bisogno di introduzioni: Alessandro Verdi, artista bergamasco, scoperto da Giovanni Testori all’età di 23 anni mentre frequentava l’Accademia Carrara di Belle Arti; per Alessandro è l’inizio di un’avventura che lo farà approdare in diversi luoghi dell’arte contemporanea; dalle Galleria Blu, alla fondazione Mudima, arrivando alla Biennale di Venezia nel 2009 all’Hamburger Bahnhof di Berlino nell’ottobre 2012 ed al Macro di Roma nella primavera 2017.
Da dove prendi spunto per le tue opere?
Parto dal reale, ma non dipingo, faccio dei disegni a matita, sono un visionario, lavoro sulla immaginazione, ho passato la vita a dipingere donne immaginarie, partendo dalle modelle in studio, le osservo e poi inizio a dipingere quando sono solo, non dipingo davanti a nessuno. Lavoro sulla memoria delle mie suggestioni. Osservo molto anche la natura, sono un grande osservatore, il mio quadro nasce in giro, in natura.
Ho sentito parlare oltre che dei tuoi quadri dei tuoi famosi libri, che sono diventati delle vere e proprie opere, cosa sono?
Quando inizio a dipingere procedo per prima cosa su un libro, libri molto grandi costruiti e rilegati da me, sul libro prendono vita tutte le mie idee e le mie progettazioni, ho sempre usato i libri, già da quando avevo sette anni, il libro è l’aspetto più autentico del mio essere e del mio atteggiamento, arrivano, ciascuno, a pesare cinquanta Kg. La mostra del Macro di Roma è partita proprio da questo; i curatori quando hanno visto un mio lavoro su un libro, di dieci anni fa, mi hanno chiesto se volessi far diventare questo progetto una vera e propria opera, un’installazione di 40 mq, carta su carta, pannelli di carta appesi con fili di nylon ad una gabbia di ferro stilizzata, poi pitturata e portata al grado giusto di colore.
Che materiali usi per dipingere e su cosa dipingi ?
All’inizio della mia carriera, uscito dall’Accademia sembrava che non potessi vivere senza colori ad olio, oli su tela, ora l’80% dei miei lavori sono su carta con colori ad inchiostro ed acquarelli. La carta è il mio materiale ideale; sono passato agli acquarelli perché mi stavo avvelenando dal colore, lavoravo quasi ventiquattro ore al giorno. Andando avanti negli anni mi sono accorto che il colore ad acqua è quello che rappresenta di più la mia natura, è il colore più liquido in natura, io sono una persona essenziale, fatta di nulla, posso dire che l’arte mi ha aiutato a conoscere me stesso.
Nelle tue opere usi pochi colori, come mai questa scelta?
Usavo solo bianco e nero, che ovviamente non sono colori; verso i trent’anni mi sono chiesto come mai non li usassi; non fanno parte di me, non li sento. Ho cercato però di andare contro la mia natura, di iniziare ad usarli, per cercare di arricchire sempre di più la mia conoscenza e per sperimentare. Oggi uso il rosso ed il blu, colori che, comunque, non hanno alcun significato particolare per me.
Quanto ci metti a portare a termine le tue opere e per quante ore dipingi al giorno?
La mie opere non sono mai finite, devi vederle in sequenza; tutte fanno parte dello stesso discorso di continuità. Lavoro per cicli con continuità omogenea tra di loro, quando cambio ciclo cambio tecnica di pittura, ad ogni ciclo arricchisco la tecnica di prima. Da giovane lavoravo dalle otto del mattino a mezzanotte, dipingevo sempre, passavo la mia vita in studio, dopo una certa ora, visto che nel mio studio non c’era la luce, lavoravo al buio. Cercavo continuamente la prefazione dell’opera, non la raggiungevo, per questo la distruggevo, ho passato una prima fase della mia vita a distruggere le opere che facevo, non per follia ma per ricerca di un miglioramento. C’è un rigore totale di tecnica e di idee, tutto è pensato prima, quando mi accorgevo di non essere arrivato dove volevo, le distruggevo. Poi ho accettato l’imperfezione dell’essere umano, vado in studio, lavoro due ore, mi allontano per quattro ore, mi “raffreddo”, poi tornato vedo le mie opere con distacco e riesco a portare avanti il lavoro, lo salvo, mi fermo quando devo fermarmi. Questo è stato il passo più importante per il mio lavoro e per la mia carriere di artista, fermarsi prima di distruggere l’opera.