Quest’anno Bergamo dà il via al suo calendario culturale con una grande mostra dedicata al mito di Raffaello. La mostra pone a confronto il suo personaggio e le sue opere con quelle di altri artisti a lui e a noi contemporanei, con quadri provenienti da importanti collezioni pubbliche e private. Raffaello e l’eco del mito, inaugurata a fine gennaio, è il frutto della collaborazione fra l’Accademia G. Carrara e la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, i maggiori poli culturali della città, affacciati entrambi su piazza G. Carrara, peraltro da poco riqualificata. Raffaello e l’eco del mito è ospitata negli spazi espositivi della GAMeC ed è visitabile fino al 6 maggio 2018. Appare curioso come a nomi di artisti monstre appartenenti al passato, primo fra tutti Raffaello, siano accostati nomi di artisti – altrettanto rilevanti – a noi contemporanei, a dimostrazione di quanto temporalità così diverse possano coesistere. Vanessa Beecroft, Pedro Berruguete, Mariella Bettineschi, Giuseppe Bezzuoli, Giovanni Antonio Boltraffio, Christo, Peter Cornelius, Mario Cresci, Giorgio de Chirico, Pietro de Saliba, Marco d’Oggiono, Antonio Donghi, Luciano Fabro, Dionigi Faconti, Pietro Fontana, Omar Galliani, Francesco Gandolfi, Carlo Maria Mariani, Hans Memling, Anton Raphael Mengs, Cesare Mussini, Luigi Ontani, Pelagio Palagi, Giulio Paolini, Pietro Perugino, Pablo Picasso, Pintoricchio, Francesco Podesti, Johannes Riepenhausen, Pietro Roccasalva, Salvo, Giovanni Santi, Felice Schiavoni, Luca Signorelli, Giuseppe Sogni, Ettore Spalletti, Francesco Valaperta, Francesco Vezzoli, sono i nomi degli artisti presenti in mostra, che dialogano con l’opera e il personaggio di Raffaello, denotando sia un sentimento di profonda ammirazione che di vaga polemica. C’è chi si confronta servendosi di medium differenti, quali la fotografia o la performance e chi lo fa tramite il disegno o la pittura, che da figurativa arriva a interpretazioni più astratte fino a quella più intima di Spalletti, “ridotta” a una tonalità di rosa tipica degli incarnati rinascimentali. Il confronto avviene sia più in generale rispetto alla ritrattistica rinascimentale, che in casi più specifici, come quelli in dialogo con la Fornarina di Mariella Bettineschi e Mario Cresci (quest’ultimo in maniera ancor più diretta, avendola sostituita nel corso dell’esposizione), o quelli di Francesco Vezzoli e Luigi Ontani, in riferimento all’Autoritratto degli Uffizi. Francesco Vezzoli rielabora l’Autoritratto degli Uffizi con un sorriso alla Monnalisa, per fare un ulteriore riferimento al paragone sotto esplicitato. Il narcisismo di Luigi Ontani è reso innocente dall’aura angelica auto-conferitasi dallo sguardo e dalla posa, che denota come la bellezza esteriore vada di pari passo con la superiorità spirituale. Il cuore pulsante di tutta la mostra è, ovviamente, il San Sebastiano. Il quadro, che potrebbe essere definito la Monnalisa della Pinacoteca di Bergamo, fu donato da Guglielmo Lochis alla città nella seconda metà dell’Ottocento e rappresenta tuttora il pezzo forte dell’intera collezione. Solitamente raffigurato come martire, trafitto dalle frecce, il San Sebastiano di Raffaello ne tiene delicatamente una in mano, come se fosse una penna. Su questa scia interpretativa Luigi Ontani crea un tableau vivant. Oltre alle opere già citate di Bettineschi e Cresci, al piano superiore un’intera sala è dedicata alla Fornarina. Artisti tra cui Giuseppe Sogni, Francesco Gandolfi, Felice Schiavoni e Cesare Mussini raccontano la loro versione del mistero che si cela dietro l’identità della donna ritratta, immaginando situazioni private in cui l’aspetto umano e passionale prevale rispetto al fascino del mito dell’artista. I dipinti di Raffaello, dotati di una straordinaria naturalezza, evocano e trapelano l’intensità umana. La resa del chiaroscuro, appena accennato, crea un gioco di luci e ombre impalpabili e definisce in maniera lieve i volumi, che pare quasi possano essere sfiorati, mettendo in risalto la grazia dei soggetti. Il carattere psicologico è ben reso nel Ritratto di Elisabetta Gonzaga: la duchessa ha lo sguardo assente, emblematico, che ne sottolinea l’eleganza discreta e l’umile raffinatezza. L’abito che indossa, sobrio ma ricchissimo, in accostamento alla resa caratteriale, evoca già di per sé un confronto con l’opera di Paul Klee. Un eco quello di Raffaello destinato a propagarsi nel tempo.