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La magia del tempo che si ferma

Siamo bombardati da miliardi di immagini: di ogni sorta, tipo, qualità. In un istante si condivide uno scatto, un video, anche qualche momento in diretta. Siamo connessi col mondo intero eppure non ne comprendiamo la portata. O meglio, non ci poniamo il problema: davvero capiamo quanto può valere e dove può arrivare una fotografia? O forse, come per ogni cosa, quando ne hai in abbondanza si finisce per non apprezzarla, sminuendone il valore?

Al giorno d’oggi, nella maggior parte dei casi, le fotografie vengono guardate ma senza essere osservate veramente. Si è perso il contatto con quello che si sta guardano. A furia di avere tanto materiale, non si riesce più a focalizzare l’attenzione sui contenuti”. A parlare è Silvia Coluccelli, una neo mamma quarantenne, fotografa per lavoro ma soprattutto per passione: moltissimi suoi lavori raccontano di quanto siano veri e spontanei gli sguardi dei bambini, non condizionati da mode o da preconcetti, né da richieste altrui né dal trovarsi sul set di brand famosi, non sfalsati dal voler apparire e dal voler emergere. I sorrisi, le smorfie, i bronci dei fanciulli sono sempre reali, candidi, profondi, trasparenti.

Sarà per questa sua capacità di coglierli e fissarli in uno scatto che Silvia viene scelta da grandi aziende del mondo kids per la realizzazione di quelle campagne pubblicitarie che ci passano in continuazione sotto gli occhi e ogni volta è come vedere un film, magico e irreale per quanto è bello.

Fra i suoi clienti compaiono Bauli, Versace Young, Gusella, Chicco, Brums, Fiat 500 Kids, Suomi o Sottocoperta o, ancora, una nuova campagna della Lindt che scopriremo il prossimo anno. I suoi scatti sono stati pubblicati dalle più rinomate riviste del settore, come era Vogue Bambini e come sono la britannica Hooligans, la russa Rikiki o la statunitense S&Castle, che a novembre uscirà con un servizio di Silvia realizzato in una location davvero speciale: casa sua.

La sua casa è piena di fotografie, immagino.

No, ce ne sono poche.

Come poche?

Poche e per lo più non mie, ma di colleghi che ammiro, coi quali scambio foto perché mi piace avere lavori di altri appesi in casa. Però ho anche una stanza che uso come studio e lì c’è una parete di oltre 3 metri ricoperta di scatti dei miei servizi fotografici.

Perché la casa di una fotografa non straripa di fotografie?

Proprio per quello: non saprei dove metterle tutte! Amo tantissimo le foto e mi piace averne, ma amo anche l’arte – la pop art, le stampe, i quadri di Musante e l’arte materica prevalentemente – quindi non voglio rinunciare a tutto questo solo per imporre il mio lavoro.

Nell’era del digitale, però, si stampano ancora le foto più belle?

Certamente! Stampo le più recenti e significative per aggiornare il portfolio che il mio agente usa per promuovermi. Mentre in casa ho un archivio ricchissimo per conservarle tutte divise per anno.

Cosa significa per lei fotografare?

Sicuramente immortalare un momento, un’emozione, uno sguardo. Ma soprattutto dare vita alla mia passione, essere in grado di fermare un attimo per viverlo e riviverlo mettendo a frutto tutto ciò che ho studiato e che imparo ogni giorno.

Cosa fa la differenza fra uno scatto buono e quello top?

Mi colpiscono quelli in cui sono riuscita a catturare la sintonia che si instaura fra me e il bambino, in cui l’intesa è colta e letta dall’immagine: questi sono gli scatti meglio riusciti.

In una fotografia si può sentire il rumore del mare, il profumo dei fiori, si può cogliere uno stato d’animo, un’emozione…

Assolutamente. Ma io lavoro tanto con aziende o comunque per servizi commissionati e non per tutti la missione è la stessa. Diciamo che quando posso scegliere, la mia è quella di avere il bambino sorridente, faccio in modo di metterli a loro agio e di farli divertire, cosicché esprimano la loro gioia. Questo perché desidero sempre che l’approccio dei piccoli con me fotografa e con la fotografia in generale sia vissuto positivamente e che questa loro felicità emerga anche nei miei scatti.

Dove sta la bravura del fotografo?

Quando si lavora ci sono dei paletti e dei vincoli ai quali bisogna attenersi per contratto. La bravura si vede nella capacità di rispettare le linee guida dettate dai clienti senza perdere il proprio stile.

E come è il suo?

Senza dubbio il mio stile è gioioso.

La situazione più divertente e buffa che ricorda?

Una volta avevo dato ai bimbi un retino per le farfalle e loro cercavano di prendermi la testa o di acchiapparmi in qualche modo: è stato molto divertente per tutti!

La più difficile o imbarazzante?

I miei “modelli” non sono mai abituati al set, magari qualcuno è più portato di altri ma non sono professionisti: sono bambini! E’ capitato che qualcuno, nella confusione dell’inizio di un servizio, si sentisse a disagio, ma con pazienza e creatività sono sempre riuscita a catturare l’attenzione anche dei più restii. Insieme all’attrezzatura ci sono sempre i miei “piccoli assistenti pelosi”: uno è uno struzzo azzurro alto quasi quanto me, poi ho scimmie e pupazzini che mi aiutano a distrarli.

Ci svela qualche trucco, perché ogni volta che noi comuni genitori tentiamo di fare qualche foto ai nostri piccoli c’è sempre qualcosa che non va: il sole, il broncio, la timidezza o l’imbarazzo, il vestito sbagliato…

Il mio consiglio è quello di creare una situazione interessante, improvvisando dei giochi, immaginando suoni o animali, per far sentire i nostri piccoli partecipi di qualcosa e approfittare della loro attenzione per scattare. Sarebbe un peccato non avere ricordi di una vacanza o di una bella giornata…

Lei avrà accumulato un’esperienza notevole negli anni.

Mi capita spesso che le mamme mi scrivano per ringraziarmi dell’esperienza vissuta sul set, contente di aver trovato un ambiente accogliente e divertente: è gratificante!

Ci sono i bambini più portati per posare, ma che differenza c’è, invece, fra maschi e femmine?

Fino a una certa età nessuna, poi verso i 6 anni qualcosa cambia: ci sono maschietti che amano farsi fotografare e altri che preferiscono andare a fare altro, che sviluppano interessi diversi, che si appassionano a qualche sport. Le femmine, in genere, sono sempre contente di essere al centro dell’obiettivo.

Preferisce lavorare su un set o all’aria aperta?

Entrambe le situazioni mi piacciono quindi dipende dal progetto che devo sviluppare. Quando lavoro in esterno con la luce naturale ho più possibilità di movimento e un campo d’azione molto più ampio: ci si può sbizzarrire. Sul set sei vincolato in un determinato spazio e con determinate luci, ma anche lì è bello tirare fuori qualcosa di buono.

Ogni situazione la ispira in modo diverso?

Nei giorni precedenti allo shooting mi faccio un’idea di quello che voglio fare, ma molto lo si improvvisa. Soprattutto coi bambini: a volte si instaura un feeling particolare e le cose più belle nascono spontanee, non ricercate. Ogni cliente impone un layout da seguire ma sceglie il fotografo in base al suo stile, che più si addica alla sua immagine o al messaggio da trasmettere. Ogni professionista ha un proprio linguaggio: quando riesci a farti riconoscere da una foto, hai raggiunto un ottimo livello.

Quali sono i suoi servizi preferiti?

Quelli che durano più giorni: due o tre giorni, una settimana o dieci giorni. I bambini a rotazione tornano sul set e pian piano ci si conosce; in questo modo si arriva a relazionarsi meglio, loro si affezionavano a me e io a loro. Si instaurano rapporti molto belli: a volte avrei voluto portarmeli a casa, quei bambini…

E dieci mesi fa è arrivata Anna Stella. Qualcosa è cambiato?

Ogni bambino è diverso dall’altro, ma l’aver avuto una figlia ha arricchito tantissimo la mia offerta e mi ha fatto capire ancora di più la psicologia dei bimbi, aiutandomi molto dal punto di vista professionale. Da allora il coinvolgimento sul set è ancora più forte: prima i bambini mi catturavano, ora anche di più!

Quindi non si stufa di inseguirli con l’obiettivo… Quante foto fa a sua figlia?

Da quando è nata Anna Stella sto scattando tantissimo perché non vorrei perdermi neanche un attimo della sua crescita. Ho già un archivio immenso: voglio poter conservare ogni istante, minuziosamente, per poterlo rivivere a distanza di tempo.

Come ha iniziato a lavorare con i bambini?

Quattordici anni fa, appena uscita dall’Istituto italiano di Fotografia, iniziai a lavorare per un’azienda di moda che produceva diversi brand. Facevo still life dei prodotti e dopo un po’ mi chiesero di realizzare un catalogo per una loro piccola linea di abbigliamento: per me era la prima esperienza… Ero terrorizzata! Mi immaginavo bambini che correvano a destra e a sinistra. Invece è stato bellissimo e, caspita, mi sono detta “io voglio fare questo”: ti diverti, dici cose stupide, sei immerso in un’atmosfera tutta cioccolato e fate, cosa si può volere di più? Così ho iniziato a contattare clienti che potevano fare al caso mio e a costruire il mio network.

Cosa c’è di diverso nel fotografare i bambini?

Mi capita di lavorare anche con gli adulti e la differenza che vedo è che con loro puoi dire esattamente cosa vuoi e loro fanno esattamente quello che vuoi. In fondo è rilassante, nonostante le modelle siano esigenti, perché sono pagate e sono a tua disposizione per fare ciò che chiedi. Coi bambini è diverso, il coinvolgimento è indispensabile. Non posso dire a un bimbo di posare con le mani in tasca perché, se lo facesse, risulterebbe impalato. Devo essere creativa e infilargli poco prima una caramella nella taschina: si creano situazioni molto interessanti, divertenti e gratificanti. Diciamo che c’è molto più lavoro nella costruzione dello scatto.

Ha sempre avuto la passione per l’immagine?

Sì, per i colori e il disegno, ma diciamo che le mie doti di disegnatrice non sono proprio lodevoli… Comunque sono sempre stata attratta dall’arte in generale e questo mi ha ispirato tantissimo. Spesso penso a come poter unire le due cose: con disegno e fotografia si potrebbero creare dei lavori davvero interessanti.

E quando ha scoperto la fotografia?

Già da piccola: ero affascinata da Polaroid e macchine fotografiche, dalla possibilità di fermare gli attimi. La si vede sempre come una passione, come se dovesse stare a contorno della vita reale. Allora c’era ancora la pellicola e sicuramente, a livello di costi, la fotografia non era a portata di tutti: macchine, rullini, sviluppi, stampe… mentre ora l’unico investimento che fai è per la digitale e gli obiettivi.

Quando ha deciso che la sua passione doveva diventare la sua vita?

Lavoravo come disegnatrice tessile: anche allora avevo a che fare con disegni e colori. Poi è successo un episodio che mi ha fatto capire che la vita è una sola e non bisogna avere rimpianti. Il mio sogno era diventare fotografa e non ci avevo mai provato… Così a 24 anni con grande determinazione ho lasciato un contratto di lavoro e uno stipendio fisso per un’avventura che non si sapeva come sarebbe andata a finire.

Che tipo di fotografie pensava di poter fare?

Quando ho iniziato la scuola di fotografia ero orientata sull’architettura d’interni, ma in realtà ero attratta da qualsiasi tipo di immagine. Le consideravo come oggetti magici: da piccola cercavo nelle vecchie valige piene di foto di famiglia i miei nonni e mi chiedevo come fosse possibile che fossero lì, su un pezzo di carta. Ho sempre pensato che la bellezza di un’immagine fissata per sempre, il fascino di uno strumento in grado di fermare il tempo fossero magici.

La sua prima macchina fotografica?

Me la sono comprata da grande.

E cosa ne pensa delle nuove generazioni che nascono con lo smartphone in mano?

Dal punto di vista professionale, dico che non è un problema che tutti postino immagini. A livello umano, penso che si debba stare attenti a non perdere il controllo…

Cosa si sente di poter suggerire ai genitori che pubblicano centinaia di foto dei propri bimbi o a chi non ne posta nessuna?

Io rispetto le decisioni di tutti, del genitore che decide di non pubblicare le foto del proprio figlio per questione di privacy e di chi ne condivide a bizzeffe. Forse il giusto sta nel mezzo: come per tutte le situazioni, non bisognerebbe esagerare. Ma non vedo nessun tipo di pericolo o di potenzialmente pericoloso per l’immagine dei nostri bimbi. L’importante è pubblicare con criterio e buon senso.

I pareri sono discordanti anche fra chi incoraggia i figli a fare i modelli e chi invece li vede come bambini sfruttati.

Dipende da che testa ha ogni genitore. E’ un po’ come per il calcio: non fai giocare tuo figlio a calcio? Certo che lo fai giocare. Ma c’è differenza se lo pressi perché diventi famosissimo o se gli dici: “un gioco di squadra ti permette di socializzare e comunque vada ti sarai divertito”. L’approccio ai servizi fotografici è lo stesso: è bello partecipare, conoscere un ambiente pieno di bambini, vivere un’esperienza di gioco e di crescita, non trasformarlo in uno strumento per arrivare a primeggiare. La frase “Io voglio che mio figlio diventi…” è sbagliata nel mondo fotografico così come nello sport. E nella vita in generale.

Le è capitato di incontrare genitori “invasati”?

Sì, certo. Non sempre capiscono che un’esperienza sul set inizia e magari finisce lì e non avrà un seguito. Va presa comunque come un momento vissuto, che ti lascia qualcosa. E’ sbagliato avere troppe aspettative, innanzitutto nei confronti dei piccoli. Un bambino di 4 anni o meno non si sogna di sfilare o posare, ma riflette i desideri del genitore, che magari attraverso i figli vuole rivendicare se stesso.

Non le dispiace che nel suo lavoro si creino situazioni simili?

Sì, bisogna starci attenti. Ma io mi prendo il lato bello del lavoro, quello in cui sono libera di giocare con i bimbi e la mia macchina fotografica. E questa sensazione positiva loro, i piccoli, la avvertono.

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